«Scommettiamo che state parlando di politica! Che sciocchezza, invece di stare con me!»
Valjean trasalì.
«Cosette!...» balbettò Mario; e si fermò. Si sarebbero detti due colpevoli.
Cosette, raggiante, continuava a guardarli entrambi, alternativamente. Dai suoi occhi emanava una luce di paradiso.
«Vi colgo in flagrante delitto,» ella disse. «Ho sentito or ora attraverso la porta babbo Fauchelevent che diceva: 'La coscienza... Fare il proprio dovere...' Questa è politica, ed io non voglio. Non si deve parlare di politica fin dal primo giorno; non è giusto.»
«Ti sbagli, Cosette,» rispose Mario. «Stavamo parlando d'affari; parlavamo del miglior modo di collocare a profitto i tuoi seicentomila franchi.»
«Questo non è tutto,» interruppe Cosette. «Ora son qua io: mi volete?»
Ed oltrepassando risolutamente la porta, entrò in salotto. Indossava un ampio accappatoio bianco a mille pieghe, a larghe maniche, il quale, partendo dal collo, le cadeva quasi fino ai piedi; nel cielo d'oro dei vecchi quadri gotici si vedono tali sacchi, entro cui sta un angelo.
Ella si contemplò da capo a piedi nel grande specchio, poi esclamò, con un'esplosione d'estasi ineffabile:
«C'era una volta un re e una regina. Oh, come sono contenta!»
Detto questo, fece la riverenza a Mario ed a Jean Valjean.
«Ecco,» disse. «Mi metterò vicino a voi, in una poltrona. Fra mezz'ora si fa colazione. Intanto voi direte tutto quello che vorrete; so che gli uomini devono parlare fra loro, ma io sarò tanto savia.»
Mario le prese un braccio e le disse amorosamente:
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