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S'abbatté sopra una poltrona e si nascose il volto colle mani. Non si sentiva, ma, dalle scosse delle spalle, si vedeva che piangeva: lagrime silenziose, lagrime terribili.
I singhiozzi lo soffocavano. Una specie di convulso s'impadronì di lui che si rovesciò all'indietro sullo schienale della poltrona, come per respirare, lasciando ricader le braccia. Mario scorse la faccia inondata di lagrime, e lo intese mormorare, così piano che la voce pareva venisse da una profondità senza fondo: «Oh, vorrei morire!»
«State tranquillo,» disse Mario. «Terrò il segreto per me solo.»
E, meno intenerito, forse, di quanto non avrebbe dovuto, ma costretto da un'ora a quella parte a familiarizzarsi con un imprevisto spaventoso, vedendo a poco a poco un forzato sovrapporsi sotto i suoi occhi a Fauchelevent, vinto a poco a poco da quella triste realtà e condotto dal naturale pendìo della situazione a constatare il distacco che s'andava facendo fra quell'uomo e lui, Mario soggiunse:
«Impossibile che non vi dica una parola circa il deposito che avete così fedelmente ed onestamente consegnato. Questo è un atto di probità, ed è giusto che ve ne venga data una ricompensa: fissate voi stesso la somma, e vi verrà sborsata. Non temete di fissarla troppo alta.»
«Vi ringrazio, signore,» rispose Jean Valjean, con dolcezza.
Rimase pensoso un istante passando macchinalmente la punta dell'indice sull'unghia del pollice, poi alzò la voce:
«Tutto è quasi finito. Mi rimane un'altra cosa...»
«Quale?»
Valjean ebbe come una suprema esitazione e, senza voce, quasi senza fiato, balbettò più che non dicesse:
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