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      Non v'era più nulla da fare? Forse egli, Mario, aveva sposato anche il galeotto?
      Si ha un bell'essere incoronato di gioia e di luce, un bell'assaporare la grande ora purpurea della vita, l'amore felice: simili scosse forzerebbero perfino l'arcangelo nella sua estasi, perfino il semidio nella sua gloria, a rabbrividire.
      Come sempre avviene nei cambiamenti subitanei di quel genere, Mario andava chiedendosi se non avesse qualche rimprovero da rivolgersi, se non avesse mancato di divinazione e di prudenza. S'era forse involontariamente stordito? Un poco, magari. S'era impegnato senza precauzioni sufficienti per illuminare l'ambiente in quell'avventura amorosa che aveva fatto capo al suo matrimonio con Cosette? Constatava (poiché in tal modo, attraverso una serie di successive constatazioni di noi su noi stessi, la vita ci corregge a poco a poco) il lato chimerico e visionario della sua natura, specie di nube anteriore, peculiare di certi organismi e che, nei parossismi della passione o del dolore, si dilata, col cambiare della temperatura dell'anima e invade l'uomo, fino al punto di farne soltanto una scienza annebbiata. Abbiamo già più d'una volta indicato quest'elemento caratteristico dell'individualità di Mario. Egli si ricordava che, nell'ebbrezza del suo amore, in via Plumet, durante quelle sei o sette settimane d'estasi, non aveva neppur parlato a Cosette di quell'enigmatico dramma della tana Gorbeau, in cui la vittima s'era appigliata a uno strano partito preso del silenzio, durante la lotta, e dell'evasione, poi.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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