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      Come mai non ne aveva parlato a Cosette? Eppure era una cosa tanto vicina e tanto spaventosa! Come mai non le aveva mai neppur nominato i Thénardier e, in particolare, non l'aveva fatto il giorno in cui aveva incontrato Eponina? Ora stentava quasi a spiegarsi il suo silenzio d'un tempo; eppure, se ne rendeva conto. Ricordava il suo stordimento, la sua ebbrezza per Cosette, l'amore che tutto assorbiva, quel rapimento reciproco nell'ideale e magari anche (impercettibile quantità di ragione congiunta a quello stato appassionato incantevole dell'anima) un vago e sordo istinto di celare e abolire nella memoria quella terribile avventura di cui temeva il contatto, in cui non voleva rappresentare nessuna parte, alla quale sfuggiva e di cui non poteva esser narratore e testimonio, senz'esser accusatore. Del resto, quelle poche settimane erano state un lampo: v'era stato solo il tempo d'amarsi, null'altro. Infine, tutto sommato, tutto esaminato, tutto ponderato, quand'egli avesse raccontato l'agguato della casa Gorbeau a Cosette, quando le avesse fatto il nome dei Thénardier, qualunque ne potessero esser le conseguenze; quand'anche avesse scoperto che Jean Valjean era un galeotto, sarebbe mutato lui, Mario? mutata lei, Cosette? Sarebbe indietreggiato? L'avrebbe meno adorata? meno sposata? No. Avrebbe cambiato qualche cosa a quel che già era? No; e dunque, nulla da rimpiangere, nulla da rimproverarsi. Tutto era ben fatto. V'è un dio per quegli ubriachi che si chiamano gli innamorati; e Mario, cieco, aveva seguito la via che avrebbe scelto da chiaroveggente.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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