Valjean era sincero. Quella sincerità, visibile, palpabile, irrefragabile, evidente anche per il dolore che gli recava, rendeva inutili le informazioni e dava autorità a tutto ciò che aveva detto quell'uomo. Accadeva cioè in Mario una strana inversione di situazioni: che cosa si sprigionava dal signor Fauchelevent? Diffidenza; cosa emanava da Valjean? Fiducia.
In quel misterioso bilancio di Valjean, che Mario pensoso stava compilando, egli constatava l'attivo, il passivo e cercava d'arrivare al pareggio. Ma tutto si svolgeva come in un uragano; mentre si sforzava di farsi un'idea chiara di quell'uomo e inseguiva, per così dire, Valjean in fondo al proprio pensiero, lo smarriva, per ritrovarlo nella nebbia di una fatalità.
Il deposito onestamente reso e la probità della confessione eran buone cose, che formavano come uno squarcio di sereno nella nube; poi la nube ridiveniva nera.
Per torbidi che fossero i ricordi di Mario, qualche ombra gli tornava alla memoria.
Che cosa era stata, infine, quell'avventura nella catapecchia Jondrette? Perché, all'arrivo della polizia, quell'uomo, invece di sporger querela, era scappato? Ora Mario trovava la risposta: perché quell'uomo era un pregiudicato latitante.
Altra domanda: perché quell'uomo s'era recato alla barricata? Infatti, ora, Mario rivedeva distintamente quel ricordo, riapparsogli in quelle emozioni, come l'inchiostro simpatico vicino al fuoco; e quell'uomo si trovava alla barricata, ma non combatteva. Che era andato a fare, laggiù? A questa domanda, uno spettro si ergeva, e dava la risposta: Javert.
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