Trovava semplice che certe effrazioni della legge scritta fossero seguite da pene eterne, ed accettava, come procedimento di civiltā, la condanna sociale. Era ancor fermo a quel punto, salvo avanzare infallibilmente in seguito, dato che la sua natura era buona e fatta, in fondo, di progresso latente.
In quell'ordine d'idee, Jean Valjean gli appariva deforme e ripugnante. Egli era il reprobo, il forzato; quella parola era per lui come la tromba del giudizio universale e, dopo aver osservato a lungo Valjean, il suo ultimo gesto era quello di volgere altrove il capo. Vade retro.
Mario (bisogna riconoscerlo ed insistervi) pur interrogando Valjean, al punto che questi gli aveva detto: Voi state confessandomi, non gli aveva tuttavia mosso due o tre volte domande decisive; non giā che esse non gli si fossero presentate alla mente, ma ne aveva avuto paura. La stamberga Jondrette? La barricata? Javert? Chissā dove si sarebbero fermate le rivelazioni? Valjean non pareva uomo da tirarsi indietro, e chissā se Mario, dopo averlo spinto, non avrebbe desiderato di trattenerlo? Non č capitato a ciascuno di noi, in certe congiunture, dopo aver fatta una domanda, di tapparsi le orecchie per non sentire la risposta? Codeste vigliaccherie si commettono soprattutto quando si ama; non č saggio interrogare oltre i limiti le situazioni sinistre, soprattutto quando il lato indissolubile della nostra esistenza vi č congiunto. Dalle disperate spiegazioni di Jean Valjean poteva uscire qualche illuminazione spaventosa, e chissā se quella ripugnante luce non si sarebbe riflessa su Cosette?
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