L'occhio finisce per abituarsi alla luce delle cantine; tutto sommato, egli aveva ogni giorno un'apparizione di Cosette, e ciò gli bastava. Tutta la sua vita si concentrava in quell'ora: le si sedeva vicino, la guardava in silenzio, oppure le parlava degli anni andati, dell'infanzia di lei, del convento, delle piccole amiche d'allora.
Un pomeriggio (era uno dei primi giorni d'aprile, già tepido e ancor fresco, il momento della maggior allegria del sole, e i giardini vicini alle finestre di Mario e di Cosette avevan l'emozione del risveglio; il biancospino stava per fiorire, uno sfarzo di garofani si spiegava sui vecchi muri, le violaciocche rosse sbadigliavano nelle fenditure delle pietre e v'era nell'erba un incantevole inizio di margherite e ranuncoli; le farfalle bianche debuttavano e il vento, menestrello delle nozze eterne, tentava tra gli alberi le prime note di quella grande sinfonia antelucana, che i vecchi poeti chiamano il rinnovamento), un pomeriggio, Mario disse a Cosette: «Abbiam detto che saremmo tornati a rivedere il nostro giardino di via Plumet. Andiamoci; non bisogna essere ingrati.» E volaron via, come due rondinelle, verso la primavera. Quel giardino di via Plumet faceva loro l'effetto dell'alba; avevan già dietro le spalle, nella vita, qualche cosa ch'era come la primavera del loro amore. La casa di via Plumet, essendo in affitto, apparteneva ancora a Cosette, ed essi si recarono in quel giardino e in quella casa, si ritrovarono nel vecchio ambiente, dimenticando tutto.
| |
Cosette Mario Cosette Mario Cosette Plumet Plumet Plumet Cosette
|