L'intero costume era, per così dire, estenuato: le cuciture divenivan bianche, un vago occhiello andava aprendosi sopra un gomito e, inoltre, mancava alla giubba un bottone sul petto; ma era un particolare trascurabile, poiché la mano dell'uomo di stato, dovendo sempre esser infilata nella giubba, sul cuore, aveva per funzione di nascondere il bottone assente.
Se Mario fosse stato familiare colle occulte istituzioni di Parigi, avrebbe subito riconosciuto, indosso al visitatore che Basco aveva annunciato, l'abito da uomo di stato, preso in prestito nella bottega di rigattiere del Cambiatore.
Il disappunto di Mario, nel veder entrare un uomo diverso da quegli che attendeva, ricadde in sgarberia sul nuovo venuto. Egli l'esaminò da capo a piedi, mentre il personaggio s'inchinava smisuratamente, e gli chiese in tono breve:
«Cosa volete?»
L'uomo rispose con un amabile sgangheramento della bocca, di cui il carezzevole sorriso d'un coccodrillo potrebbe dare un'idea:
«Mi pare impossibile di non aver già avuto l'onore di vedere il signor barone in società. Credo proprio d'averlo incontrato in particolare, qualche anno fa, in casa della signora principessa Bagration e nei salotti di sua signoria il visconte Dambray, pari di Francia.»
È sempre buona tattica, nel mondo dei furfanti, aver l'aria di riconoscere qualcuno che non si conosce.
Mario stava attento al modo di parlare di quell'uomo e ne spiava l'accento e il gesto; ma il suo disappunto cresceva: era una pronuncia nasale, assolutamente diversa dal suono di voce aspro e secco che s'aspettava.
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