Nessun mezzo d'entrare; casa di giorno e fortezza di notte, con ottocento abitanti: ecco il villaggio. Perché tante precauzioni? Perché quel villaggio è pericoloso, pieno d'antropofaghi. E perché ci vanno, allora? Perché è un paese meraviglioso, dove si trova l'oro.»
«Cosa volete concludere?» interruppe Mario, il quale, dal disappunto, passava all'impazienza.
«Questo, signor barone. Sono un antico diplomatico stanco; la vecchia civiltà m'ha logorato, e ora vorrei provare i selvaggi.»
«E poi?»
«Signor barone, l'egoismo è la legge del mondo. La contadina proletaria che lavora a giornata si volta, quando passa la diligenza, mentre la contadina proprietaria che lavora nel suo campo non si volta; il cane del povero abbaia dietro il ricco, e il cane del ricco abbaia dietro il povero. Ognuno per sé. L'interesse, ecco lo scopo degli uomini; l'oro, ecco la calamita.»
«E poi? Concludete.»
«Vorrei andarmi a stabilire a Joya. Siamo in tre: io, la mia consorte e la mia signorina, una ragazza molto bella. Il viaggio è lungo e caro e avrei bisogno d'un po' di denaro.»
«E in che mi riguarda, questa faccenda?» chiese Mario.
L'uomo tese il collo fuori dalla cravatta, gesto particolare all'avvoltoio, e ribatté, sorridendo sempre più:
«Il signor barone non ha letto la mia lettera?»
Questo era quasi vero, poiché il contenuto della lettera era sfuggito a Mario, il quale aveva visto la calligrafia più che non avesse letta la lettera, di cui si ricordava a stento. Da qualche istante la sua attenzione era di nuovo risvegliata; egli aveva notato quel particolare: «La mia consorte e la mia signorina», e fissava sullo sconosciuto uno sguardo penetrante.
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Mario Joya Mario Mario
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