»
«Dier.»
«Cosa?»
«Thénardier.»
«Chi è costui?»
Nel pericolo, il porcospino drizza gli aculei, lo scarabeo fa il morto, la vecchia guardia si schiera in quadrato; quell'uomo si mise a ridere. Poi spazzolò via con un buffetto un grano di polvere dalla manica della giubba.
Mario continuò:
«E siete pure l'operaio Jondrette, l'attore Fabantou, il poeta Genflot, lo spagnuolo don Alvarez e la moglie Balizard.»
«La moglie?...»
«Ed avete tenuto una bettola a Montfermeil.»
«Una bettola? Mai più!»
«Ed io vi dico che siete Thénardier.»
«Lo nego.»
«E che siete un pezzente. Prendete.»
E Mario, levandosi di tasca un biglietto di banca, glielo buttò in fretta.
«Grazie! Perdono! Cinquecento franchi, signor barone!»
E l'uomo, sconvolto e profondendosi in saluti, ghermì il biglietto e l'esaminò.
«Cinquecento franchi!» riprese, stupefatto; e balbettò a voce bassa: «Un foglio di carta non da poco!»
Poi, bruscamente:
«Ebbene, sia!» esclamò. «Mettiamoci in libertà.»
E con una sveltezza da scimmia, gettando i capelli all'indietro, strappandosi gli occhiali, togliendosi dal naso e facendo sparire i due tubetti di penna d'oca di cui parlavamo or ora e che il lettore ha già visti, del resto, in un'altra pagina di questo libro, egli si tolse il viso come ci si toglie il cappello.
L'occhio si ravvivò; la fronte asimmetrica, solcata e sparsa qua e là da prominenze, orrendamente rugosa nella parte superiore, apparve libera, ed il naso ridivenne acuto come un becco; il profilo feroce e sagace dell'uomo di preda riapparve.
«Il signor barone è infallibile,» disse con una voce chiara, dalla quale era scomparsa ogni inflessione nasale; «io sono Thénardier.
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