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«Non capisco, signor barone,» disse Thénardier.
«Ve lo farò capire, state a sentire. In un circondario del passo di Calais, verso il 1822, v'era un uomo che aveva avuto qualche vecchia pendenza colla giustizia e che, sotto il nome di Madeleine, s'era risollevato e riabilitato. Quell'uomo era divenuto, in tutta la forza del termine, un giusto; con un'industria, quella della fabbricazione delle conterie nere, aveva fatto la fortuna dell'intera città; quanto alla sua fortuna personale, aveva fatto anche questa, ma secondariamente e, in certo qual modo, per combinazione. Era il padre che dava da mangiare ai poveri; fondava ospedali, apriva scuole, visitava i malati, dotava le fanciulle, sosteneva le vedove, adottava gli orfani; era come il tutore del paese. Aveva rifiutato la croce, ma era stato nominato sindaco. Un galeotto liberato conosceva il segreto d'una condanna in cui quell'uomo era incorso un tempo; lo denunciò, lo fece arrestare e approfittò dell'arresto per venire a Parigi e farsi consegnare dal banchiere Lafitte (la cosa mi venne riferita dal cassiere di Lafitte in persona), per mezzo d'una firma falsa, una somma di più di mezzo milione, che apparteneva a Madeleine. Ora, quel galeotto che derubò Madeleine è Jean Valjean. Quanto all'altro fatto, non avete nulla da insegnarmi in proposito: Jean Valjean ha ucciso l'agente Javert, con una pistolettata. Io, che vi parlo, ero presente.»
Thénardier gettò a Mario lo sguardo altero d'un uomo sconfitto, che riponga la mano sulla vittoria e riguadagni in un istante tutto il terreno che aveva perduto.
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