Parlo, perché ho le prove; e non prove manoscritte, poiché la scrittura è sospetta ed è compiacente, ma prove stampate.»
Mentre parlava, Thénardier toglieva dalla busta due numeri di giornale ingialliti, spiegazzati e fortemente odorosi di tabacco. Uno di quei giornali, rotto in tutte le pieghe e ridotto in brandelli quadrati, sembrava assai più vecchio dell'altro.
«Due fatti, due prove,» fece Thénardier. E tese a Mario i due giornali spiegati.
Il lettore conosce quei due giornali. Uno di essi, il più antico, un numero del Vessillo Bianco del 25 luglio 1823, del quale il lettore ha potuto vedere il testo nel primo volume di questo libro, stabiliva l'identità di Madeleine e di Valjean; l'altro, un Monitore del 15 giugno 1832, constatava il suicidio di Javert, aggiungendo come da un rapporto scritto dello stesso Javert al prefetto risultasse ch'egli era stato fatto prigioniero nella barricata di via Chanvrerie e che era stato debitore della vita alla magnanimità d'un insorto il quale, avendolo sotto il tiro della propria pistola, anziché fargli saltare le cervella, aveva sparato in aria.
Mario lesse. La cosa era evidente; la data era sicura e le prove irrefragabili poiché, certo, quei due giornali non eran stati stampati apposta per appoggiare la tesi di Thénardier; la nota pubblicata nel Monitore era stata comunicata in via amministrativa dalla prefettura di polizia, e Mario non poteva più dubitare. Le informazioni dell'aiuto cassiere erano false ed egli stesso s'era ingannato. Jean Valjean, improvvisamente ingrandito, usciva dalla sua nube; e Mario non poté trattenere un grido di gioia:
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