»
      Valjean continuava a sorridere.
      «E quand'anche mi ripigliaste con voi, signor Pontmercy, potrebbe questo impedire ch'io fossi quel che sono? No. Dio ha pensato come voi e come me, e non muta parere: è utile che me ne vada. La morte è una buona sistemazione e Dio conosce meglio di noi quel che ci occorre. Che voi siate felici, che il signor Pontmercy abbia Cosette, che la giovinezza sposi il mattino, che intorno a voi, figli miei, vi sian le rose e gli usignuoli, che la vostra vita sia una bella aiuola piena di sole, che tutti gli incanti del cielo vi riempiano l'animo e che io, buono a nulla, muoia ormai, certo tutto è giusto. Guardate: siamo ragionevoli. Ormai non v'è più nulla da fare e sento nel modo più assoluto che tutto è finito. Un'ora fa, ho avuto uno svenimento; e poi, stanotte, ho bevuto tutto quel recipiente d'acqua che vedete. Com'è buono tuo marito, Cosette! Stai molto meglio con lui che con me.»
      Ci fu un rumore alla porta. Era il medico che entrava.
      «Buongiorno e addio, dottore,» disse Jean Valjean. «Ecco i miei poveri figliuoli.»
      Mario s'accostò al medico e gli rivolse una sola parola: «Signore?...» Ma nel modo con cui era pronunciata, essa conteneva una domanda completa.
      Il medico rispose alla domanda con un'occhiata espressiva.
      «Perché una cosa spiaccia,» disse Jean Valjean «non è una ragione per essere ingiusti verso Dio.»
      Vi fu una pausa. Tutti gli animi erano oppressi.
      Valjean si volse verso Cosette e si mise a contemplarla, come se volesse imprimersene l'immagine per tutta l'eternità. Nelle profonde ombre in cui era già disceso, gli era ancor possibile l'estasi, guardando Cosette, e il riflesso di quel dolce volto illuminava la sua faccia pallida.