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      Orazio, Ode XVIII, libro II. Nulla certior tamen, Rapacis Orci fine destinata.» - Così ingenuamente e secondo la dottrina del tempo è detto nelle Annotazioni al Malmantile. Cantare II, stanza L.
     
      [3] Cf. con l'annotazione ad un luogo dell'altra fiaba XXII di questa raccoltina, ch'è intitolata: Zelinda e il mostro.
     
     
     
      II.
     
      IL CONTADINO CHE AVEVA TRE FIGLIOLI[1].
     
      C'era una volta un contadino che aveva tre figlioli. Passava un ortolano per vendere i cavoli, l'erba, l'insalata; vede i tre figlioli di questo contadino; dice: - «Che son vostri figlioli questi?» - «Sissignore.» - «Me ne potresti cedere uno per menarmelo nel mio appartamento? Sto benone, sapete? Sono una persona che sta benone. Potrei far felice il vostro figlio.» - Il giovanetto che sente dire che quell'omo l'avrebbe preso con seco, comincia a dire: - «Oh babbo, babbo, mi mandi.» - «Mandare, ti manderò: ma bisogna che tu torni presto, perchè io senza vojaltri non posso fare il mio interesse.» - Gli consegna il figliolo a quest'ortolano con il dire che lui in capo a un po' di tempo gnen'avrebbe portato indietro, perchè lui ne avea bisogno di quel giovinetto. Vanno via camminando per andare a i' posto di quest'ortolano. Cammina, cammina, cammina, cammina! era tanto che camminava questo giovinetto. - «Oh che è tanto lontano i' vostro posto?» - «Eh fra breve tempo te lo farò vedere.» - Alla lontananza di un mezzo miglio questo ortolano gli fa apparire un bellissimo palazzo: - «Vedi tu, giovanetto, quel palazzo là?» - «Eh lo vedo!


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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