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      Viavà con l'ortolano: cammina, cammina, cammina! - «Ditemi, galantomo, che è molto lontano i' vostro appartamento?» - «Eh in breve tempo lo vedrai.» - Gli fa apparire i' medesimo palazzo. - «Lo vedi là? Quello è i' mio appartamento.» - Tognino comincia a chiamare i fratelli. - «Cosa chiami?» - gli fa l'ortolano. - «Non ti posson sentire; sono a i' divertimento.» - Spalanca la porta, entran drento tutti e due. Comincia a chiamare Gigi e Franceschino. - «Ma cosa chiami Gigi e Franceschino? Gigi e Franceschino sono nella mia villa a divertirsi. Domani li vedrai tutti e due. Tempo è d'andare a riposassi.» - Mangiano e bevono: dopo mangiato e bevuto, se ne vanno nella sua camera, Antonio e l'ortolano; se ne spogliano e se ne vanno a diacere ognuno n'i' suo letto. La mattina a mala pena che spunta l'albore d'i' giorno, si sveglia i' mago: - «Antonio!» - E i' fanciullo si sveglia e comincia a tremare. - «Non siete più l'ortolano. Voi siete un brutto mostro e di qui voglio sortire,» - fa Antonio. Gli risponde i' mago: - «Di qui tu non sortirai. Hai viste tutte le mie ricchezze? A una mia morte, dev'essere tutto tuo.» - «Ma i miei fratelli?» - «Adesso te li farò vedere. Abbi da sapere che io vado a fare un giro. Ti lascio padrone spòtico[3] di tutte le mie ricchezze. Queste le sono quelle tante libbre di carne. Quando io ritornerò a i' mio appartamento, che questa carne sia mangiata.» - «E chi l'ha da mangiare?» - fa Antonio. - «Che l'ho da mangiare io?» - «Sì.» - «Cheh! io non la mangio di certo.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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