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      Questo ladro, questo birbante...» - I signori si licenziarono a corpo voto e Sua Maestà si mette a piangere; e pianse tutta la notte dicendo sempre: - «Sconta[4] delle mie bambine, che mi voglion tanto bene, con questi traditori che mi voglion tanto male.» - Venghiamo alle ragazze. - «Oh!» - dice - «tra poco c'è da aspettarselo, Sua Maestà; c'è da vederlo, gua', chè ce lo promesse. Non facciamo vistosità che s'è fatta questa cosa.» - E così, dopo un quarto d'ora, Sua Maestà: - «Ho le belle fila d'oro![5]» - «Eccolo!» - dice. Gli calan la fune, e lui vien su; afflitto, con gli occhi rossi. - «Maestà, cos'avete oggi?» - gli dicono. - «Ah le mie bambine, ora vi conterò quel ch'i' ho,» - dice. - «Vi ricordate voi ieri che io dissi, che io dava tre festini?» - «Sissignore.» - «Abbiate da sapere che ieri sera all'ora che io doveva far mettere in tavola, i miei vanno in cucina e trovano tutta la roba con cenere e acqua, tutto straziato, ma uno strazio impossibile a dirlo. Loro rimasero più morti che vivi, questi miei servitori. Io insisteva che mettessero in tavola. Allora si buttarono ai piedi e dissero: Maestà, venite a vedere il caso brutto che è seguito. Ed io gli dissi: Ah, traditori, bricconi, uno di voi siete. Loro si gittarono ai piedi e conobbi bene la sua innocenza. Ma qui un astro maligno c'è, o una fata; o un traditore c'è. Ma se io lo scopro dev'essere più grosso un chicco di rena della sua persona! dev'essere spezzato più fine che un chicco di rena.» - «Ma come si fa a fare queste cose?


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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