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      - «Oh» - dice - «eccolo! coraggio!» - Calan la fune e lui va su, più morto che vivo. - «Felice giorno, Maestà. O come va? che si sente male?» - Un viso gli aveva, morto. Dice: - «Ah le mie bambine, voi non sapete! Iersera fu peggio dell'altra sera il tradimento.» - «Ah, ma come mai, signore? gli è tanto il bon signore! che gli debban fare queste cattività?» - «Eh, ma stasera ci sto in persona. Non ci sarà scusa. Eh se lo posso avere!... se io posso scoprire!... vi replico quel ch'io vi dissi: il chicco d'arena dev'essere più grosso di questa persona quando lo mando in tritoli.» - «Oh l'ha ragione! È tanto il bon signore!» - le replicano. Sua Maestà va via dopo essersi trattenuto un'altra mezz'ora. Ci era andato per passarvi un'altra mezz'ora, non per fin di nulla, via. Quando gli è andato via: - «Che credete che stasera non mi abbiate a calare?» - disse la minore di tutte. - «Ah che non ti si cala davvero noi, stasera. Non ti si cala; e si scriverà al babbo in qualche maniera, perchè noi non si vole di queste cose.» - Che volete? Sì, no, sì, no; furono costrette a calarla anche stasera. Figuratevi, entra nell'usciolino: chè se la prima sera ci era d'ogni bene di dio, l'ultima non si pole spiegare, ecco! Prende il suo paniere e comincia a metter roba, tutta la più meglio che ci fosse. L'altra, fa il solito: tutt'acqua e cenere; la mette giù nel camino tutta sciupata come l'altra sera. E va in cantina. Scende in cantina, prende il meglio vino e le bottiglie le migliori[7], poi si volta e vede un vaso di verdea.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





Maestà Maestà