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      Avess'io tanti gigliatiNella vuota mia scarsella
     
      quante volte i migliori scrittori han trascurato di metter l'aumento eufonico innanzi alla s impura preceduta da consonante, senza un riguardo al mondo per le nostre povere orecchie. Quest'urto disaggradevole di consonanti s'incontra nientemeno che in dugensettantatrè versi del solo Orlando innamorato del Berni. Toscani, Lombardi, Meridionali hanno gareggiato nel trasgredir quella regola, che pure è fondata nell'indole stessa della lingua nostra. Già, anche il giusto incespica sette volte il giorno, e qui c'è l'esempio e la scusa dello abuso popolare. Ecco un gruzzoletto d'esempli autorevoli, da non imitarsi. Dante (Convito). Sue beltà piovon fiammelle di foco animate d'un spirito gentile. Bandello (Nov. XV). Tenendo il caso troppo vituperoso e il scorno grande. Marino (Adone, XIV, 95). Tosto, per porlo in su la tesa corda, E commetterlo all'aure, un strale ei prese. Stigliani (Mondo nuovo). Ell'era in somma in tutti i membri belli, Misurata ed egual non altrimenti, Ch'esser soglion le statue in fôro o in scena. Ecc. ecc. ecc.
     
      [11] A proposito di baule, vedi, tra le commedie di Giambattista Fagiuoli, L'Astuto balordo (Atto primo, scena seconda): «Orazio. Il mio baule dove l'hai posato?» - «Meo. Ma, padrone, io non ho posato bauli in nessun luogo e non li ho visti mai de' miei dì.» - «Orazio. Dove son le mie robe, che si portarono iersera dietro al calesso?» - «Meo. Ah quella cassa di cuojo, tonda di sopra, che ha quelle manette dalle bande, con quelle bullette d'ottone in fila, ch'è serrata con una pallottola di ferro, per via d'uno stidione?


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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