» - E il cane fece come gli era ordinato. Ma le guardie lo inseguirono; e quando lo videro entrare dal calzolajo, presero quello per condurlo in carcere. Ma il calzolaio gridava: - «Io non ho cani; domandate a tutti i vicini miei, se io ho avuto mai cani.» - Subito venne allora il terzo fratello dicendo: - «Quei cani erano miei.» - Lo condussero a palazzo. - «Appiccatelo alla forca» - disse il Re. - «È permesso che io pure dica due parole?» - «Dite.» - «A chi appartiene quest'anello?» - «È mio» - grida la più piccola delle tre figliole del Re - «me l'ha dato la mamma, quando aveva tre anni.» - «A chi appartiene questo fazzoletto?» - «È mio» - disse la mezzana - «me lo diede mia madre.» - «Chi mi ha data questa bacchetta?» - «Sono io,» - disse la terza; - «l'ho data a chi mi liberò dal mago.» - Spiegò allora chi era, e come i fratelli l'avevan voluto far morir nel pozzo. E i fratelli furono condannati alle forche e appiccati. E lui prese per moglie la più bella delle tre sorelle; e vi furono subito altri regnanti, che presero le altre due; e furono felici e vissero molti anni.
[2] Poero, che più esattamente si scriverebbe Póhero, giacchè il v non isparisce del tutto, anzi lascia dietro sè una lieve aspirazione. Il Fagiuoli, nello scherzo scenico La Virtù vince l'Avarizia, fa equivocar così un pedante ed un monello. - «Fidenzio. Heu, heu, tu puer!» - «Menghino. Dov'è egghi i' poero?» - «Fidenzio. Dico a te.» - «Menghino. Io non dico d'esser ricco; ma io non sono anche tanto poero, quanto io vi son paruto; me' pa' lagora su il suo, e non dovide quil po' ch'egghi ha con nessuno.
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Poero Póhero Fagiuoli La Virtù Avarizia
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