» - Lo rimanda lassù e poi fa sparire lo aligero destriero ed abbandona il meschinello sul cacume.]
VI.
L'UCCELLINO CHE PARLA[1]
C'era una volta un Re. Non si sa per qual caso proibì che la sera non si sortisse[2], pena la testa; nessuno, indispensabilmente, sennò tagliata la testa. Alle ventitrè tutti avevan preparata la sua roba in casa per la sera non sortire. Il coco qui di cucina, ch'era giusto d'estate che sudava stando al foco, quando ebbe finito il suo impiego: - «Cheh! o ch'io moja che m'ammazzi Sua Maestà, o ch'io moja ch'io mi sento affogare, io vo' andar fori!» - E va fori, e si mette alle sponde d'Arno, come sarebbe su' nostri ponti, lì a prendere il fresco. In mentre gli è lì a prendere il fresco, sente delle voci che dicono: - «Oh, se Sua Maestà mi desse per moglie al suo scudiero, quanto sarebbon meglio le cose!» - Gli eran tre ragazze. L'altra la dice: - «O me, se mi desse al suo maestro di casa, quanto gli andrebbon meglio le cose!» - E la minore: - «Oh, se Sua Maestà mi sposassi, io gli farei tre figli: due maschi ed una femmina. I maschi di latte e sangue e i capelli d'oro; e la femmina di latte e sangue e i capelli d'oro e una stella in fronte.» - Quest'omo, il coco, quando ha sentito, guarda e prende il numero dell'uscio e torna a palazzo e va a letto. La mattina s'alza; e, appena sente che Sua Maestà s'è alzata, chiede di passare di là. Lo fecero passare. - «Maestà,» - dice - «io sono ai vostri piedi. Io ieri sera trasgredii i vostri comandi. Perchè io mi sentiva affogare, io me n'andiedi fori.
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Sua Maestà Arno Sua Maestà Sua Maestà Sua Maestà
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