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      L'orefice la pesa e gli dą una somma, ma di molto, sapete, perchč era oro pesante e bello, che questo balio e questa balia erano arricchiti con questi quattrini. Ogni giorno gli tagliavano i capelli e andavano a venderli. Venghiamo ora a Sua Maestą, che mentre sua moglie gli era di sette mesi, suo cugino gl'impone guerra un'altra volta. Ecco lui va via, va alla guerra, dice addio alla moglie: - «Ricordati delle promesse!» - Vien l'ora che la partorisce e fa un maschio come l'aveva detto, co' capelli d'oro e con le carni di latte e sangue. Le birbanti delle sorelle[6] fanno prendere il bambino e ci mettono un cane. All'istesso omo dicono: - «Buttatelo, come avete fatto a quell'altro, in Arno.» - Questi barcajoli stessi veggono un altro canestrino, vanno e lo prendono e veggono un altro bambino: - «Ah poerino! Ma che bricconate son queste?» - dicono i barcajoli. Quel navicellajo prende il bambino e fa come all'altro; lo porta a casa e poi va dalla balia e riprende quello primo e rimette questo a balia e vien via a casa[7] col bambino maggiore. Lasciamo a questi e venghiamo alla novitą che doveva avere il Re, se l'aveva partorito la su' moglie. E gli mandarono a dire le sorelle: - «L'ha fatto un cane la vostra sposa; scriveteci quel che si deve far di lei.» - «O cane o altro, tenerne di conto;» - manda a dire il Re. - «O cane o cagna, tenetene di conto.» - Il navicellajo ogni tanto l'andava a veder questo bambino. E trova il balio arricchito, in una maniera! con tanta mobilia, loro vestiti tutti per bene.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





Sua Maestą Arno