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      L'eremita ritornò subbito alla su' capanna; e siccome[2] teneva delle capre, gli messe sotto le tre creature, che poppavano poppavano, e non ismessero se non quando satolle. A questo modo l'eremita rallevò le creature; e quando le furon cresciute, gl'insegnò a leggere e a scrivere; e in su i tredici o quattordici anni, i ragazzi andavano a caccia per il campamento, e la ragazza badava a casa e lavorava. Ma poi, doppo del tempo, l'eremita sentì di dover presto morire; gli prese un male, che non ci fu scampo; le coja vecchie tanto non reggono! Allora lui chiamò intorno al su' letto i ragazzi e la sorella e gli fece un bel discorso, che stessin d'accordo e si volessin bene, e che i fratelli difendessino sempre la sorella, e che forse, abbenchè poveri a quel mo', potevan col tempo diventar ricchi e ritrovare i genitori; e alla ragazza gli regalò una bacchetta fatata, che picchiandola in terra compariva quello che si voleva; e doppo rendette l'anima a Dio. A mala pena che l'eremita fu spirato, con pianti e lamenti loro gli dettano sepoltura e poi pensorno al modo di sortire da quell'isola, e colla bacchetta fatata la ragazza comandò d'esser tutti portati in nel Regno vicino. Quando si trovorno in terra, camminavano insenza sapere che strada era quella, e a bujo eccoteli tutti e tre in mezzo a un bosco, con una fame che proprio non ne potevan più. Dice il maggiore: - «Qui bisogna fermarsi. Sorellina, via, colla tu' bacchetta fa' comparire qualche cosa di bono.» - «Volentieri,» - disse lei: - «farò comparire un bel palazzo tutt'ammannito a darci albergo e con una cena imbandita in sulla tavola.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





Dio Regno