Picchia al portone e di dientro la ragazza domanda: - «Chi è, a quest'ora?» - «Sono un Re e mi son smarrito a caccia per la selva. Datemi un po' d'albergo, chè ho paura degli animali che mi sbranino.» - Scesero tutti con de' lumi e apersano al Re, e lo menorno in una cammera al foco, e l'asciugorno tutto dalle guazze e poi gli diedano de' panni perchè si mutasse; e quando si fu riavuto lo volsano a cena con loro. Il Re non capiva in sè dall'allegrezza per quell'accoglienze, e badava a dire in cor suo: - «Ecco, potevo anch'io avere di questi figlioli, se non era la mi' moglie a mancarmi di parola. Paian proprio quelli che m'aveva impromesso.» - Alla mattina quando fu giorno, il Re s'alzò da letto per andarsene, e doppo colizione gli abbracciò e baciò tutti que' giovinotti e non si sapeva staccar di lì; pareva che ci fosse inchiodato: ma alla fine si fece animo e gli disse addio, con questo però, che lui volse che andasseno a trovarlo e stessero a desinar con lui nel su' palazzo, almeno tra una settimana. Loro l'accompagnorno giù al portone, e daccapo con abbracci e baci e pianti del Re, ognuno se n'andette per il fatto suo. Arrivato il Re alla su' casa, a corte, in quel mentre che era a tavola, raccontò tutte le cose che gli erano intravvenute, e di quelle belle creature che gli avevan dato albergo con tanta carità, e che lui l'aveva anco invitate a desinare. In nel sentire queste novità, le zie, ossia le cognate del Re, ci mancò poco che non si caconno nelle gonnelle dalla pena, perchè loro capirno bene che que' giovinotti colla ragazza erano i figlioli del Re; e se lui lo scopriva, loro dicerto l'ammazzava.
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