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      Va e dice: - «Io son venuto da me a rivedere questa tela.» - E tutti i giorni, quando gli era quell'ora, Maestà andava in casa; se la bella gli è a tessere, gli dice: - «Bon dì e bon anno a quella che tesse; e bon giorno a chi fa i cannelli.» - La madre che era tanto astiosa (la fortuna, la voleva darla a sua figliola, avete capito?), la la mette a tessere e la bella a fare i cannelli. Eccoti il Re: - «Bon giorno a quella che tesse; e bon dì e bon anno a quella che fa i cannelli.»[2] - Dunque, la pensa, questa donna: - «Aspetta: la voglio mandare dalle fate per lo staccio; così me la mangeranno.» - Eccoti: - «Domattina» - gli dice - «quando avrete fatto quel che avete a fare, dovrete andare dalle mamme per lo staccio; a dire che facciano il piacere di darvi lo staccio.» - «Sissignora, come la comanda.» - La mattina si leva; la fa quel che l'aveva a fare; e la va via e si mette in cammino. Quando ella ha camminato un pezzo, la trova una vecchina. - «In dove tu vai, poerina?» - «Eh» - dice - «io vo' così e così dalle fate a farmi dare lo staccio.» - «Ah poerina!» - dice - «tu hai da passare de' pericoli, sai? Quando t'hai fatte due altre miglia tu troverai una piazza. Quell'uscio dove c'è quattro finestre, gli è questa la casa. Abbi da sapere che ci sono le scale di vetro: fai adagio, che le non ti si rompino; sali adagino, adagino. Ogni piano tu troverai tutte donne che ti grideranno: Vien quà, poerina! vieni e cercaci, chè si ha tanto pizzicore! E le ti domanderanno quel che tu trovi.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





Maestà Vien