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      De ces deux jeunes filles, faites-en une seule, dont la bouche répandra tout cela pêle-mêle: c'est la Muse d'Aristophane.
     
     
     
      XV.
     
      LA BELLA CATERINA[1]
     
      C'era una volta una donna campagnola, che aveva due figliole: una delle quali era bellissima e si chiamava Caterina; l'altra, tutt'all'incontro, era brutta quanto dire si puole. Ma la madre voleva più bene alla brutta; e siccome tutte e due si rodevano d'invidia per la Caterina, perchè alla bellezza accoppiava pure una grande bontà, s'arrapinavano a fargli dispetti e cercavano tutti i modi perchè gli accadesse qualche malanno da ridurla imbruttita. La Caterina sopportava con pazienza le persecuzioni delle due arpie; ed, invece di farsi brutta per gli strapazzi, pareva ogni dì che gli s'accrescesse la bellezza. Un giorno la madre disse alla brutta: - «Sa' tu quel che ho pensato? Mandiamo la Caterina a pigliare lo staccio dalle Fate, che gli sgraffieranno tutto il viso; e la imbruttirà e nessuno più la guarderà.» - «Sì, sì!» - esclamò la brutta, gongolando di maligna gioia: - «Le Fate sono cattive e l'acconceranno pel dì delle feste.» - Subito la madre chiamò la Caterina e gli disse: - «Su via, sguajata: c'è da fare il pane e non abbiamo in casa lo staccio per ammannire la farina. Va' dalle Fate dentro al bosco e chiedigli lo staccio in prestito.» - A questo comando la Caterina divenne bianca dalla paura, sapendo per sentita dire, che chi andava dalle Fate ne ritornava malconcio. Pregò la madre che non la mandasse, pianse: ma la madre e la brutta sorella tanto la minacciarono, che ripensando non potere soffrire dalle Fate un male maggiore, si piegò ad obbedire.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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