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      Poi il gatto Mammone invitò la Caterina a salire nel piano di sopra e la condusse alla scala di cristallo: e la Caterina si levò gli zoccoli e salì su in peduli tanto pianino, che non isciupò la scala e neppure la sgraffiò. Qui gli furono profferite vesti belle e vesti brutte, oro e ottone. E lei scelse le vesti brutte e l'ottone. Ma il Mammone comandava invece alle Fate, che l'acconciassero splendidamente e gli fossero regalate gioie legate in oro.[3] Quando la Caterina fu messa in modo, che pareva una Regina, il Mammone gli disse: - «To' su lo staccio; e andata fuori dell'uscio di questa casa, se senti ragliar l'asino non ti voltare; ma se canta il gallo, vòltati.» - La Caterina obbedì: al raglio dell'asino non se ne diede per intesa; ma al chicchirichì del gallo si voltò indietro, e subito gli venne una stella rilucente in sul capo. A mala pena la Caterina giunse a casa sua, che la madre e la sorella brutta se le rodevano la rabbia e il dispetto; quella stella poi gli era un pruno negli occhi. La brutta disse: - «Anch'io vo' andare dalle Fate, anch'io. Mandate me a riportare lo staccio, mamma.» - Quando lo staccio fu adoperato, la brutta se lo tolse su e s'avviò al bosco delle Fate. E all'entrata, lei pure trovò il Vecchietto, che gli domandò: - «Ragazzina, per dove così vispola?» - «Vecchio ignorante!» - rispose con superbia la brutta; - «i' vo' dove mi pare. Impaccioso! badate a' fatti vostri.» - «Brutta e scontrosa!» - disse il Vecchietto ridendo di sottecche: - «Va' va' dove ti pare! doman te n'avvedrai!


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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