Entro solingo ed esecrabil tetto,
Dove sotto accoglienze amiche e lietePoi gli ancidea furtivo all'ombre chete.
Finchč da' venti qui sospinto venneL'Attico Prence domator de' mostri,
Dal Termodonte le vittrici antenneQui raccogliendo e i coronati rostri;
L'usato stil con esso il ladron tenne,
E a scender l'invitņ sui lidi nostri,
Chč de' tesori ond'era carco il legnoD'arricchirsi fra sč volgea disegno.
A lieta mensa il traditor l'accoglieCol fior di quella gioventude Achea;
E medicati vin con certe foglie,
Che fan stupidi i sensi in chi ne bea,
Lor versa in copia; e 'n suo pensier gią coglieDell'opra il frutto scelerata e rea,
Che pensa in breve a cupo sonno e forteVeder ciascuno in braccio e darlo a morte.
Ma sua ventura vuol, che l'amorosaAmazone bellissima Reina,
Del giovinetto vincitor gią sposa,
Nč a bevanda nč a cibo il labbro inchina.
E allor ch'immerso in cupo sonno ei posaSola desta rimane a lui vicina,
Mentre, caduto gią 'l diurno lumeSteso ei giacea su le malfide piume.
A par del Duce in stupida quieteGiacean profondamente i Greci avvinti;
E l'infame ladron tra l'ombre queteGią tutti avea que' sventurati estinti;
Anzi gią ne veniva alle secreteStanze, u' chiudea dal sonno i lumi vinti
Il buon Teseo fra l'amorose bracciaDella Reina, ch'al bel sen lo allaccia.
E gode, il suo giungendo al caro viso,
Pascer di dolce fiamma i suoi sospiri,
E sulle mute labbia un indivisoSpirto raccoglier ne' di lui respiri.
Quando sul limitar, di sangue intriso,
Avvien che l'empio penetrar rimiri,
Al chiaror, che dagli astri entra nel tetto:
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