Il figlio di Mezzenzio, Re de Latini, assediando col padre la città famosissima d'Adria mentre che stava quasi per maturar l'onore del suo trionfo: mentre ch'era vicino a godere il frutto de' suoi sudori; scorgendo in una torre la vaga figlia del Re nemico, che (a guisa dell'Erminia del Tasso o di Romilda duchessa infelice del Friuli) osservava in quel luogo l'oste nemica, con bell'ordinanza attendata nella campagna, egli se n'invaghisce e se n'invaghisce sì fieramente, che posto in non cale il suo padre, la riputazione dell'armi, la fortuna de' suoi guerrieri, il proprio onore e la medesima vita; travestito introducesi furtivamente nell'assediata città, per poter discoprire alla figlia dell'inimico l'occulto incendio che 'l consumava. Ecc. ecc.» - ) Ma quando avremo istorici letterarî che valgan qualcosa? Che leggano almeno gli scrittori de' quali ragionano? Pare che Francesco Redi fosse un po' più studioso delle opere del Groto, giacchè trovo ne' suoi scherzi un verso: S'aver ti posso un giorno in mio dominio, ch'è preso dalla Emilia del Cieco d'Adria (Atto II. Scena V) dove suona: Ma s'io potessi averla in mio dominio.]
[2] Finchè dura un incantesimo, il corso del tempo è sospeso per la persona incantata. Appo il Pitrè, nel cunto XIX, intitolato Lu scavu, si legge: - «'Sti morti avianu persu la vita pi' manu di lu Scavu, e la maravigghia è ca nun passavanu mai, ma arristavanu sempri comu s'avissiru mortu allura.» - Così Torquato Tasso, nel primo del Rinaldo (St. XXXXIV), fa dire al vecchio, che spiega al protagonista l'incanto di Bajardo:
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