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      La ragazza si spogliò di tutti i panni, e rimasta colla camicia sola, li diede al servitore perchè anco quelli riportasse a casa, e fu lasciata in abbandono nel bosco[3]. L'Ostessa, che impaziente aspettava il servitore, gongolò dalla gioia, vedendolo ritornare con i segni dell'ammazzamento commesso; ma, quando s'accorse che mancavano le mani, gridò con mal viso al servitore: - «E le mani dove sono?» - Rispose il servitore: - «Che volete? non ho avuto coraggio di tagliargliele alla vostra figliola, dopo tanto male che per obbedirvi gli ho fatto. O che non vi bastano quest'altri segni? Ci son fino i vestiti.» - Abbene che l'Ostessa rimanesse con un po' di sconcerto nell'animo, pure s'addimostrò contenta. E imposto al servitore di stare zitto, sparse voce che la figliola era morta presso un parente lontano, da cui era andata per istarci qualche mese. La Bell'Ostessina intanto, lasciata lì sola e quasi ignuda nel bosco, fu sorpresa dalla notte, dal freddo e dalla fame; sicchè, piena di paura, intirizzita e rifinita, si sentiva morire. Tutt'a un tratto gli comparve dinanzi una vecchia, che gli domandò chi fosse e che facesse lì a quell'ora nel bosco e in quell'arnese. La ragazza gli raccontò per filo e per segno la sua cattiva ventura, per cui la vecchia gli disse: - «Povera fanciulla! ti piglierò con meco, ma a patto che tu mi sia sempre ubbidiente.» - L'Ostessina glielo promise; e la vecchia, presala per la mano, la condusse ad uno splendido palazzo incantato, dove nulla gli fece mancare ed era trattata al pari di una Regina.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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