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      Entrano, salgono le scale, e sebbene il palazzo fosse pieno di lumi, non appariva anima viva. Nella sala trovarono una mensa riccamente apparecchiata, su cui stava un gran mazzo di chiavi, e in un canto della sala istessa vi era un camminetto acceso. Il Re ed il servitore, esaminato ogni cosa, nell'idea di aspettare se qualcuno venisse a salutarli, si posero intanto al foco per rasciugarsi. Poi si sedettero a tavola e mangiarono. E ogni volta che le pietanze erano finite, mani invisibili ne recavano delle altre sempre più squisite e appetitose. Il Re capì bene che quel palazzo doveva essere incantato; per cui non istava senza temenza; ignorando se chi lo possedeva fosse un Genio buono o cattivo. Ad ogni modo, siccome il Re era di molto ardito, quando fu ristorato, disse al servo: - «Piglia un lume e visitiamo il palazzo; questo mazzo di chiavi di certo apre le porte degli appartamenti.» - Girarono tutto il palazzo, ma da ogni parte riscontrarono il medesimo deserto e la medesima solitudine. Quindi l'ammirazione di que' due era grande, tanto più che scorgevano una ricchezza di addobbi e di mobili incredibile; l'oro e le gemme luccicavano ammonticchiate. Quasi disperati di arrivare a scoprire i padroni del palazzo, si avviavano di novo nella sala, e nel ragionare il Re gettò gli occhi ad una porticella, che prima non aveva veduta: subito col servo e co' lumi corse a quella, e dopo provatovi più chiavi nella toppa gli riuscì aprirla. La porticina dava accesso ad una fuga di stanze, anche più di lusso dell'altre; ma, giunti ad un salone, il Re ed il servitore restarono fra istupiditi e impauriti nel mirarvi in mezzo un catafalco circondato di ceri accesi e con sopra una donna morta.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





Genio