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      Che d'alcun non sia tocco; e riponendoloCon onestà sotterra; e s'avessi animo
      Pur di spogliarlo, almen, ti prego, lasciagliQuella vesta che a lui sarà più prossima;
      Chè, s'ai vivi giovare i morti possono,
      Ti gioverò per questo beneficio.
      Ti prego ancor quanto si può, nascondereCotesto fallo, acciò che la giustizia
      Del giusto Pan, che in queste selve or'abita,
      Non danni il mio pastore, e non lo 'nfaminoGli altri pastor, le ninfe nol puniscano.
      E se tu stimi di poter nasconderloMeglio, abbruciando questo corpo, abbrucialo,
      Che ben minor sarà quel de lo incendioChe provai viva.
      Melibeo.
      S'io sto un poco a ucciderla,
      Son certo che costei mi farà piangere.
      Filovevia.
      Deh, Melibeo, fammi una grazia. AppressamiA' labri (poi che tu le man legatomi
      Hai), si ch'io 'l baci, il ferro, ch'ha da uccidermi.
      Melibeo.
      Ecco il coltel ch'ha da ferirti, bacialo.
      Ma prima ch'io questo coltello approssimiSolo a toccar le vene a Filovevia,
      Ella col suo parlar m'apre le viscere.
      Filovevia.
      O pietoso coltel, che 'l lungo strazioDi questa sventurata oggi dèi chiudere,
      Ti bacio e ti ringrazio. Orsù dunque, eccoti,
      O Melibeo, scoperto il petto; ed eccotiParato il collo. Ora a te sta lo eleggere
      Qual vuoi ferir. Ma ben ti prego, ch'abbia,
      Se 'l petto vuoi ferir, gli occhi di graziaA non ferirmi il cor, non per mio comodo,
      Ma sol per non ferir in quella immagineDel mio pastor. Poi ch'i' sia morta, cavalo,
      Se puoi, intero (ch'io ti dò licenziaIn questo di toccarmi), et appresentalo
      Ad Ergasto, che forse riconoscervipotrà gli strai d'amore e la sua imagine,


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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