O mio dolce e nativo aere!
O selve! o erbe! o arbori! restatevi.
Addio, ch'io vado, e non so dove. LascioviPer non vi riveder mai più76.
Melibeo.
RipigliatiIn terra l'arco e la faretra. Or vattene,
Che una ninfa da lungi a noi s'approssima.
Negli Intrighi d'Amore, commedia attribuita al Tasso (ed a ragione, come io credo), abbiamo un episodio simile nella scena settima dell'atto terzo.
MAGAGNA, ERSILIA
Magagna. Talchè....
Ersilia. Talchè con ragion mi dolgo e posso dolere, che io sono la più scontenta tra le scontente giovani del mondo. Ahimè!..
Magagna. Questo pianto è proprio come il fumo dell'arrosto, che non ti giova a niente, perchè ti bisogna venire al monastero al tuo marcio dispetto. Cammina dunque e lascia tanti talchè, se non vuoi che ti calchi con un calcatoppolo la coppola.
Ersilia. Eh Magagna, il dolor non è perchè io vada al monastero; ma perchè mi manda in quest'ora così sola, senza compagnia di donne. Poteva pur tardar insino a domani.
Magagna. Signora no, perchè dice quel proverbio: Il mal che tarda, piglia vizio. Avvertendosi la signora, che voi bestialmente siete innamorata di Camillo, farà bene a farvi passar di questa vita presente.
Ersilia. Come di questa vita presente? Dunque mi farai morire?
Magagna. Oh poffar, che m'era scappata!
Ersilia. Ritorniamo a casa; che, se sarà così, mi contenterò volentieri, purchè mi conceda, che avanti la mia morte possa vedere e parlare al mio dolcissimo Camillo, il quale dà lume a questi occhi e dà spirito a queste labbra.
Magagna. Tu ti pensi, con le tue parole inzuccherate, farmi tornare indietro? ma t'inganni a fè. Cammina pure, perchè la vita presente non s'intende di farti morire, ma di passarti di questa vita presente cattiva e trista, che menavi, a vita onesta e santa, come sarà al monastero.
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