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      XXII.
     
      GLI ASSASSINI.[1]
     
     
      C'era una volta un omo, che aveva tre figliole. Quando erano sulle ventitrè si affacciavano alla finestra. Passa un capo-assassino, si volta in su e vede queste belle ragazze. Che ti fa? Vede una bottega là di faccia: - «Scusate, chi sono quelle tre belle ragazze?» - «Sono figliole d'un poero sarto» - gli dicono - «che sta quì in questa strada.» - Quest'omo va alla bottega dove gli aveva detto questo ed apre. Dice: - «Cosa mi comanda?» - Gli era un sarto; credeva, che gli portasse del lavoro. - «Quante figlie avete voi?» - dice. Dice: - «Tre, signore.» - «Abbiate da sapere, che io le ho vedute: una delle tre la voglio sposare.» - «Signore,» - dice - «Io sono un poeromo. Non gli posso dar niente di dote, nè di altro.» - «Io ricerco la ragazza, e non ricerco quattrini. Mi fareste il piacere,» - dice - «di condurmi a casa e sapere chi di loro mi vole?» - «Volentieri.» - Chiude la bottega e va a casa e picchia. - «Oh dio!» - dicono le ragazze - «gli è il babbo con un signore.» - Tirano la corda. Vengon su. Le ragazze dicono: - «Felice giorno;» - fanno de' complimenti tanto a suo padre, che a questo signore. Il babbo, le fa mettere a sedere e dice: - «Vedete, ragazze; questo signore, una di voi vi vole per isposa.» - Dice la minore: - «No.» - Quell'altra anch'essa: - «No.» - Ma la maggiore dice: - «Lo prenderò io, quando sia contento.» - «Io» - dice allora questo capo-assassino - «ho bisogno di sbrigare questo matrimonio, perchè ho bisogno di tornare nel mio posto.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708