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      Se poi vol bene all'orso, io me ne vado.» - Eccoti i servitori gli portano l'ambasciata: - «O L'ammazza l'orso, oppure la Regina se ne va.» - Potete credere, il dolore che gli ebbe Sua Maestà a dire che gli aveva da ammazzar questa bestia: - «Poerino!» - gli diceva all'orso il Re - «Ah quanto son dispiacente! eppure, t'ho da fare ammazzare. Tra poche ore tu hai da esser morto! Il dovere gli è verso la moglie e non verso te.» - Quando sono le ventitrè, eccoti i maniscalchi e ammazzan l'orso; i maniscalchi quelli di mercato, che ammazzan le bestie, i macellari. Quando gli è morto, allora Maestà manda a dire alla Regina, se ora la può venire di qua a vederlo almeno da morto, se non l'ha voluto veder vivo. Lei la risponde: - «Nossignore, che non ci verrò, fino che non è sparato.» - Ritornano i servitori: - «Maestà, la Regina non voi tornare, altro che quando sarà sparato l'orso.» - «Poerino!» - fa Sua Maestà - «ancora sparato, tu vedi!» - Lo fa sparare e ci trovano questo assassino con tutte le qualità dell'armi più peggiori.[5] E la Regina, la viene allora senza esser chiamata: - «Vedete, ch'è due volte» - la dice - «che v'ho salvata la vita? Voi non li conoscevi, perchè rimanesti ferito; ma io li conosco appieno, mentre che (sapete) mi trattenni tutti quei giorni, che io vi medicava. Dunque in quel posto, che noi siamo partiti, ce n'è rimasti altri trentadue: questi bisogna di spengerli.» - Vanno lassù quelli comandati da il Re e li chiappan caldi, caldi. A forza di cannoni, di fucilate, chi bruciato, morirono tutti tutti tutti.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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