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      Ma questa non volle partir da casa subito in quel modo; e si trattenne per più d'otto giorni senza risolversi a nulla; e non sarebbe ita, se non l'avesse spinta il su' babbo. La bella Clorinda volle partir di sera, sicchè arrivò al castello di giorno. Ma Centomogli questa volta non disse altro delle sorelle, che se la le voleva rivedere, l'erano in castigo; ma fino a tanto che egli non tornava, non avrebbe potuto scoprirgliele; e se anche lei disubbidiva al suo comando, sarebbe stata messa dove la Caterina e quell'altra. Intanto gli lasciò le chiavi e gli impose che non aprisse le stanze dalla chiave d'oro e di argento. Clorinda non rispose niente; e, dopo che fu partito Centomogli, la prima cosa, andò ad aprire la stanza dalla chiave d'argento. Non vide nulla in tutta la stanza, ma sentì un certo mugolìo, che veniva come di sottoterra. Allora girò, guardò e scoprì una lapida. L'alza e vede che era un pozzo. E da questo pozzo veniva una voce, che chiedeva ajuto. Allora la cara Clorinda non sapendo come fare a dar soccorso a chi era laggiù, sorte dalla stanza, va a chiamare la cagna e gli ordina di mettere dell'acqua a bollire. E quando l'acqua fu ben bollente, disse alla cagna: - «Portami in camera quell'acqua.» - E nel mentre che gliela portava, Clorinda prese la cagna di dietro all'improvviso e la buttò nella caldaia, dove tutta pelata vi morì[3]. Rimasta padrona del castello, piglia la porta e va a trovare un carbonaio, che stava all'entrata del bosco (e lei l'aveva visto, perchè era passata da que' posti di giorno) e gli ordinò di venire con una cesta ed una fune al castello.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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