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      Si fa rossa, come sangue, la fidanzata: - «Non vo' più sentire quell'arpa.» -
      E dice la quarta corda: - «Oh quest'arpa non riposa.» -
      La fidanzata si corica in letto.
      L'arpa suona più forte, e il cuore della giovine scoppia.]
     
      [3] Qui ci vorrebbe la descrizione del palagio sottomarino. I lettori se la fingano con la scorta, che fa di quello di Nettuno il Marini nell'Adone:
     
      Strana di quella casa è la struttura,
      Strano il lavoro e strano l'ornamento.
      Ha di ruvide pomici le mura,
      E di tenere spugne il pavimento.
      Di lubrico zaffiro è la sculturaDe la scala maggior; l'uscio è d'argento.
      Variato di perle e di conchiglieAzzurre e verdi e candide e vermiglie.
     
     
     
      XXVI.
     
      ZELINDA E IL MOSTRO[1]
     
      C'era una volta un pover'omo, che aveva tre figliole. La minore, essendo la più bella e la più manierata e dolce di carattere, era di molto odiata dalle altre due sorelle, ma in quella vece il padre gli voleva un gran bene. Or'avvenne, che in un vicino paese, appunto nel mese di gennaio, vi fosse una fiera; alla quale andando il pover'omo per provvigioni a campare la famiglia, ciascuna delle figliole gli domandò che gli portasse qualche regaluccio: la Rosina volle un vestito, la Marietta uno scialle, e la Zelinda si contentò di una rosa[2]. Il giorno dopo a bruzzolo, il pover'omo si messe in viaggio. E arrivato in sulla fiera, comprate che ebbe le provvigioni, gli fu facile trovare il vestito per la Rosina e lo scialle per la Marietta; ma non gli riescì, per quanto s'affannasse a cercarne, trovar la rosa per la Zelinda.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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