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      Pure, voglioso di accontentare quella sua cara figliola, si rimesse in viaggio alla ventura lì pe' dintorni, e, cammina cammina, giunse ad un bel giardino; e siccome n'era il cancello aperto, e' vi entrò diviato. Il giardino era carico gremito d'ogni sorta di fiori, e in un cantuccio sorgeva su un[3] cespuglio di vaghe rose sbocciate e di colore smagliante. Non pareva che ci fosse nel giardino anima viva, cui domandare una rosa in compra o in regalo; sicchè il pover'omo, allungata la mano al cespuglio, staccò una rosa per la sua Zelinda. Misericordia! chè appena colto il fiore, di dentro al cespuglio, con gran fracasso e fiamme, sbucò uno spaventevole Mostro in forma di dragone[4], che fischiando a tutto potere, disse: - «Temerario, che ha' tu fatto? Bisognerà che tu moja subito, giacchè avesti l'ardire di toccare e sciupinare la mia pianta di rose.» - Il pover'omo, morto più che mezzo dalla paura, si messe a piangere, a raccomandarsi in ginocchioni, chiedendo perdono dello sbaglio commesso, e si diè a fare racconto del perchè cogliesse la rosa. E poi diceva: - «Lasciatemi andare. Ho famiglia; e, se non ci son'io, l'è finita per lei e va in perdizione.» - Ma il Mostro inferocito gli rispose: - «Uno ha da morire. O portami quella che volle la rosa; o, se nò, t'ammazzo in sul momento.» - Invano il pover'omo pregò e ripregò: il Mostro non gli diede agio di partire, se non dopo che il pover'omo gli ebbe promesso con giuramento di ritornare colla figliola. Figurarsi con che core il pover'omo rientrò in casa sua!


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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