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      Diede i regali alle figliole; ma con un viso tanto stravolto, che quelle gli domandarono con premura se gli fosse accaduta qualche disgrazia. Dàgli e ridàgli, finalmente il pover'omo piangendo gli raccontò la storia del suo viaggio e a che patto era potuto ritornare; e disse: - Bisognerà che io o la Zelinda si sia mangiati dal Mostro.» - Allora sì che le altre due sorelle scaricarono il sacco contro Zelinda: - «Bada lì» - dicevano - «la smorfiosa, la capricciosa! Lei, lei anderà dal Mostro, che ha voluto la rosa. Il babbo ha da rimanere con noi.» - E la Zelinda: - «È giusto che paghi chi ha fatto il danno. Anderò io. Sì, babbo, menatemi al giardino e sia pure la volontà di dio!» - Dopo varî contrasti e battibecchi, si decise che la Zelinda anderebbe nel giardino del Mostro e ci sarebbe lasciata sola. E così fu; chè, postisi in cammino l'indomani lei col padre, in sull'imbrunire giunsero al giardino. Entro a quel luogo ameno non ci veddero, secondo il solito, anima viva; ma osservarono un gran palazzo signorile illuminato e colle porte spalancate. Si introdussero i due viaggiatori nell'atrio; e subito quattro statue di marmo si mossero da' loro piedistalli per fargli lume su per le scale sino ad una sala, dove nel mezzo era una mensa apparecchiata d'ogni ben di dio. I due, sentendosi affamati, si sederono; e satolli, le medesime statue, presi i lumi, gli condussero in due belle camere, dove andati a letto dormirono saporitamente tutta la notte. Al levar del sole, Zelinda e il padre suo pur essi si levarono; e vennero serviti della colazione da mani invisibili.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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