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      E li antiqui Napolitani teneano claramente, che da lo preditto pendeano li fati et la fortuna de lo ditto castello, e che durare dovea tanto, quanto l'ovo se conserva sano et salvo et cusì ben guardato.» -
     
     
     
      XXVII.
     
      IL FIGLIOLO DEL PECORAIO.[1]
     
     
      C'era una volta un omo e una donna, che facevano i pastori in montagna ed avevano un ragazzotto di diciassette anni per figliolo. Ma non gli volevano punto bene. Sicchè, per levarselo d'attorno, lo mandavano sempre al bosco con un tozzaccio di pan nero a badare alle pecore. Un giorno, un agnello del branco cascò in un botro e si sfragellò tutto e morì. Non c'è da dire quanto que' cattivi genitori strapazzassero il povero ragazzo. Ed anzi, picchiatolo a quel dio, abbenchè fosse già notte, lo scacciarono fuori di casa, minacciando ammazzarlo se più ci tornasse. Il meschino, piangendo, vagolò un pezzo ne' contorni senza sapere dove andare, fino a che, rifinito e affamato, giunse ad un fosso vôto; e, raggriccito dal freddo, lì si potè alla peggio accoccolare, dopo essersi accomodato un po' di lettuccio con foglie secche. Ma non gli riuscì dormire, sia dalla paura di trovarsi solo al bujo, sia perchè ripensava a' casi suoi e incerto del poi. Era da poco il ragazzotto dentro al sasso, quando capitò un omo, che gli disse: - «Ohè! tu hai preso il mio letto, temerario. Che ci fai costì?» - Tutto impaurito, il ragazzotto si messe a raccontargli le sue disgrazie. E lo pregò, che non lo scacciasse, ma s'accontentasse per quella notte di fare a mezzo del ricovero, che a bruzzolo anderebbe via, dove la sorte lo menasse.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





Napolitani