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      » - Andò a prendere una caldaja, la empì di acqua e la messe a i' foco; prese della farina, diverse libbre di farina; e cominciò a fare la pasta. Fece tutti maccheroni. Cotti (che li ebbe) e tutto, prese questi maccheroni; e quicchè v'era d'arnese nella casa, principiando da' panchetti del letto, asserelli, attrazzi del letto e tutto, seggiole, imposte, arali, tutti gli attrazzi, che v'era per la casa, a tutti diede i maccheroni; alla paletta poi, che stava nel camino, a quella lì... li ebbe abbondanti, perchè nel posto, che stava Bella-Gioja a dormire sulla cassa, messe la paletta sulla cassa. Pare almeno, che gli abbia contentati tutti, nel suo tenitorio, in dove stava insieme con la madre! - «L'ora, cara Bella-Gioja, è tale di partì' di quì.» - Si prende la bacchettina fatata, che aveva la madre; carica due muli tra verghe d'oro e d'argento; montano su in questi muli carichi; chiudono la porta; e via a spron battuto. Se ne vanno via, trottando, via, via, via. La fata, che si sveglia la mattina e tasta, che non sente che c'è Bella-Gioja, il suo figliolo, la mattina: - «Eh si vede, ch'è andato via a bottega. Troja! alzati, che gli è tardi.» - «Ora!» - la paletta gli risponde, - «lasci stare un altro pocolino, sono stracqua.» - «Ora, ti dico, che tu t'alzi.» - Oh! c'era un malandrino sgabello sott'i' letto della fata, che s'erano scordato dargli i maccheroni: - «Chiamala, chiamala la Troja! gli è costì la Troja!» - fa questo sgabello. - «Chi sa le miglia, che gli hanno fatte, vedi!


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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