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      Veniva e mi trovava, che piangeva: Al solito, Bella-Gioja, che piange! Ti dico, non piangere! Ci sono io per te, che rimedio a i' tutto. La seconda volta, la fata mi diede una stanza di tutti panni sudici; li doveva ammollare, pulire, bucatare, rasciugare, stirare e tutto! La terza volta poi, i' caro Bella-Gioja qui, mio liberatore, qui, si pensò caricare due muli, prendendo la bacchettina fatata della sua scelleratissima madre, e scappar via con due muli carichi tra verghe d'oro e d'argento.» - «Eh carissima figlia! n'hai sofferto! n'hai sofferto! Ma ora non ne soffrirai più. Questa fata, voi Bella-Gioja, che abita ancora in questo mondo?» - «Eh» - dice Bella-Gioja, - «non esiste più in questo mondo.» - «Ora è l'ora e i' momento di mangiare e di stare allegramente.» - Viene le pietanze, i' vino: mangiano e bevono e si divertono. La mattina dopo, Sua Maestà fa: - «Qui farò bandire, che io ho ritrovata mia figlia e i' suo liberatore, che gli ha salvata la vita e straportata alla mia presenza. Domani si annuncierà.» - Ne fa consapevole a tutte l'altre Corone: un invito generale allo sposalizio della figlia d'i' Re. Segue lo sposalizio: dettero a mangiare ai poveri della città, pane e vino e tutto. Se ne godettero e a me nulla mi dettero:
     
      Stretta la foglia, larga la via,
      Dite la vostra, che ho detta la mia.
     
     
      NOTE
     
      [1] Bisogna distinguere varî tratti in questa Novella. Prima di tutto la figliuola del Re, chiusa, come quella d'Acrisio, in una torre, acciò non le accada una grande aventura preastrologata e segnatamente non venga rapita dal vento.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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