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      Ma del figliuolo avea una gran ferita.
     
      E poi chiamò il suo figliuol minore;
      Nella barchetta seco lo menò;
      Dentro del cor aveva gran dolore,
      E navigando a l'Isola arrivò.
      Onde dalla barchetta il trasse fuore,
      Dicendo: - «Aspetta sin che tornerò.» -
      Così lasciò il figliolo con affanni,
      Qual non avea passato li sett'anni.
     
      Essendo il Padre suo da lui partito,
      (Che del figliuol non vuol veder la morte)
      Il Corsar Turco gli apparse ardito,
      E via 'l volea portar per cotal sorte.
      E quel figliuolo forte fu smarrito,
      Che non aveva nissun, che 'l conforte.
      - «Ajuto! Ajuto!» - cominciò a gridare,
      Che il Turco tosto si mise a scappare.
     
      Rimase il fanciullin con gran paura,
      Solo soletto su quell'Isolella;
      E guardò, e vide sopra dell'alturaSotto forme grifagne una donzella,
      Che un'Aquila parea la sua figura.
      E pel fanciullo se ne venne quella,
      E gli disse così: - «Non dubitare,
      Che da questa Isoletta ti vo' trare.» -
     
      Disse il fanciullo: - «Non mi vuò partire,
      Perchè mio padre qui debbo aspettare.» -
      L'Aquila all'ora sì gli prese a dire:
      - «Dov'è tuo Padre ti voglio portare.» -
      E prese quel fanciul, senza mentire,
      Sopra dell'aere cominciò a volare:
      E così lei per l'aere il portava,
      E meglio che in barca camminava.
     
      Poi gli mostrò 'l bel paese soprano,
      E il suo Castello, ch'era in lunghe parteQuattrocento giornate per certano.
      E più ancora fa menzion le carte:
      Che l'Aquila con quel fanciullo altanoIn una notte se gli andò per arte;
      La sera, che dall'Isola traeva,
      E la mattina al suo Castel giungeva.
     
      Poselo in una sala molto bella.
      - «Ora m'aspetta fin che torno» - disse;


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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