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      - «Mi ha portato la ventura ria,
      E questi osatti, che a' piedi ho io,
      Sol per amore della donna mia,
      La qual mi tiene legato il cor mio.
      Monna Aquilina si chiama palese,
      Che signoreggia di strano paese.» -
     
      E quel Romito, da lui invitato,
      A Liombruno si prese a parlare:
      - «In la mia vita mai in nissun lato,
      Cotal paese non udì nomare.» -
      Disse Liombruno: - «Mi è stato insegnato,
      Che quà su i venti vengon albergare,
      Per lo mio amor quando saran tornati,
      Pregovi di averli interrogati.» -
     
      - «Or entra dentro» - quel Romito disse,
      - «Fin che tornino i venti ad uno ad uno,
      Che gli domanderò se lor sapisse.» -
      Dentro la cella n'andò Liombruno.
      Nel luogo del Romito egli si misse.
      Per fin che i venti tornasser ciascuno,
      E quel Romito poi li congiurava,
      E di Aquilina gli addimandava.
     
      In prima venne il vento Ponente,
      E di poi quello veniva il Garbino;
      Vento Levante; e poi, subitamente,
      Il gran vento, che tuttor vien d'Alpino;
      Vento Maestro venne similmente,
      Vento Greco, ed il buon vento Marino;
      Vent'Ostro, vento Borea, e Tramotana,
      E molti venti del mar della Tana.
     
      Quel Romito da Liombrun pregato,
      Ad uno ad uno scongiurava i venti,
      Che quel paese gli avesse insegnatoIn qual parte si trovava presente,
      Ciascun diceva: - «Non vi son mai stato.» -
      E un di loro parlò immantinente,
      Disse: - «Scirocco è già per arrivare,
      Forse, che lui ve lo saprà insegnare.» -
     
      Così essendo Scirocco già arrivato,
      Che quel romito per virtù inclina,
      Di quel paese gli ebbe domandato,
      Dov'è signora madonna Aquilina.
      Sirocco disse: - «Lì, vi son ben stato.
      E ritornarci voglio domattina.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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