Dunque i gobbi gridano? ripigliò il cardinale. Signore, rispose il cameriere, questi non sono muti ma gobbi, cioè storpi. Ciò udendo il cardinale, tra le risa e il capriccio, disse al cameriere: Cacciateli dunque dalla cantina, e portateli qui. Venuti i semivivi gobbi alla presenza del cardinale, questi li cercò scusa, e gli disse, che egli voleva i gobbi, che si chiamano cordoni, non già quelli, che si chiamano gobbi; e che perciò li avea sì malamente trattati, e li avrebbe trattati peggio, se non avessero urlato. Regalò loro assai bene e finalmente ne li rimandò qui in Napoli, dove arrivati, ed interrogati dall'amico del cardinale del trattamento ricevuto, gli raccontarono tutto l'accaduto su di essi. Non potè fare a meno di ridere smascellatamente l'amico corrispondente per l'equivoco avvenuto.» -
LXIV.
LA NOVELLA DEL SIGNOR DONATO.[1]
La Novella del signor Donato? Io non la vo' dire, bisogna, che mi preghiate. Se mi pregate di molto, ve la dirò[2]. C'era una volta marito e moglie, che avevano la serva. Dunque, la padrona andava di fori: sapete bene, quando c'è la serva. Nel mentre che lei faceva le faccende, un topo sale sul prosciutto del padrone e gnene rodeva. La prende il gatto, perchè lo mangi questo topo: - «Oh» - dice - «che fai tu, che non lo mangi?» - Il gatto gli era rimasto attaccato a il topo, proprio attaccato, non veniva più via. Grida la serva: - «Eh, vien via!» - Lo acchiappa per la coda e rimane attaccata anche lei. Siccome questo prosciutto rimaneva sur una terrazza, che dalla strada si vedeva, torna a casa la padrona, e di quì si volta e vede la serva e gli dice: - «Oh che stai tu qui a fare, grulla, invece di fare le faccende?
| |
Cacciateli Napoli Novella Donato
|