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      » - «Noe, per amor di dio! Se tu pisci, marito, siamo morti!» - disse la moglie sotto voce. - «Tant'è, i' 'un la reggo. I' piscio.» - E giù per le rame, Zufilo lascia ire una bella pisciata, che va a cascare sulle tavole, dove gli assassini giocavano. - «Oh!» - dice uno: - «E' pioviccica. Ma 'un sarà nulla. Via via! Seguitiamo.» - E seguitano a giocare. Passa un altro po' di tempo; dice Zufilo: - «Moglie, la mi scappa. I' ho voglia di cacare.» - «Pover'a noi!» - dice la moglie: - «Ora poi, se tu la fai, siam morti davvero. Trattiella[4].» - «Cheh: i' 'un posso. I' la fo.» - E, sbottonati i calzoni, Zufilo fa 'l fatto suo. Uno degli assassini, sentendo cader roba, si volta in su e poi dice: - «È manna. Seguitiamo a giocare. Nun è nulla.» - E seguitano. Passa un altro po' di tempo; dice Zufilo: - «Moglie, questo cojo mi pesa; mi rompe le spalle. Lo butto via.» - «Ma sie' tu matto?» - dice la moglie. - «S'ha da morire scannati in tutti i modi. Ora poi non si scampa!» - Ma, in quel mentre, Zufilo lascia ire il cojo, che, secco a quel mo', giù per le rame della querce faceva unfracassìo indiavolato. - «Il diavolo! il diavolo!» - cominciarono a urlare gli assassini; e fuggi in un battibaleno, lasciando tutti i quattrini sulle tavole! Quando non ci fu più nessuno, Zufilo e la moglie scesero dalla querce; e, rammucchiato l'oro e l'argento, lo messero dentro al cojo; e, già essendo giorno, ritrovata la via, ritornarono allegri e contenti a casa.[5] Arrivati che furono a casa, Zufilo e la moglie con quel cojo pieno di quattrini, Manfane e Tanfane si divoravano dall'astio.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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