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      Di lì a un po' dice il Mattarugiolo: - «Savio, i' non la tiengo, la mi scappa. Ho voglia di cacare.» - «Ma che sie' scemo insenza rimedio? Non la fare, sai.» Il Mattarugiolo però non gli diede retta, si calò i calzoni e giù. Gli assassini a veder quella delizia cascare in nella tovaglia, s'arrabbiorno a bono. Ma 'l capo-ladro gli disse: - «Non vi confondete; è un uccellaccio, che fa queste porcherie: ma domani i' lo pago con una stioppettata.» - E seguitorno la cena. Tutto a un tratto dice il Mattarugiolo: - «I' non le reggo più: mi scappan di mano dal peso!» - e, non badando punto alla disperazione del Savio, lassa le imposte dell'uscio, che ruzzolan giù a precipizio tra' rami della quercia. A quel fracassio gli assassini si rizzorno spauriti; e, credendo che la quercia gli cascasse in sul capo, telorno via più presto del vento, dibandonando lì per le terre quattrini e robba. Quando gli fu passato lo spavento e giù il sole si levava, il Savio scese dalla quercia per vedere quel, che era successo. Dimolti fiaschi di vino quelle imposte l'avevano rotti in tricioli; ma tutto il resto era sano. Sicchè tra lui e il Mattarugiolo radunorno, nella tovaglia, il mangiare e i quattrini; e ripresano col carico in dosso la via per tornarsene a casa. Addove arrivati, ricchi a quel modo, non patirono più la fame, feciano acquisto di poderi e se la godettano allegri e contenti a quel dio.
     
      [2] Dividersela fra noi. - G. N. - Vedi, pag. 586.]
     
      [3] Ecco un altro esempio di ventura, incontrata, per essersi arrampicata sugli alberi, da persona dispersa.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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