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      Sta serva, nel discorrere, si messe a dir delle paure. - «Dimmi, Marco, di che cosa t'hai paura te?» - «Io, più paura, che abbia, io ho paura di il chiù[2].» - «Eh, dio mio! di un uccello così tanto piccinino?» - «Ah sta zitta, quando lo sento cantare più di una volta, mi vien male!» - In questo mentre venne il prete, e andorno a letto. Quando fu andato a letto Marco, il prete ritornò dalla serva. - «Di che cosa l'ha paura Marco?» - «Mi ha detto, che gli ha paura di il Chiù.» - «Senti, spogliati. E poi ti melerò tutta; e poi t'anderai a buttarti su quella massa di penne: tu parrai un Chiù tale e quale. E poi t'hai a montare su quel melo, che c'è nel giardino di faccia alla finestra di Marco, e t'hai a principiare a dir: Chiù, Chiù. Tu vedrai, che lui s'arrabbierà, e vorrà andare via arrabbiato, così piglio cento scudi.» - E costì tanto fecero. Questa serva, quando fu montata in quest'albero, avviò a cantare: chiù chiù (non si veglia più). Marco, che sente chiù, figuratevi come si diede da fare. - «Ah poero a me! ne ho ragionato oggi di il chiù; e lì canta che ti canto questo chiù!» - e Marco s'era nascosto sotto i lenzuoli, ne aveva fatte di tutte. Sicchè gli era scappata la pazienza, ci aveva il fucile carico, s'affaccia alla finestra, e tira una schioppettata addove sentiva la voce. E sente cascare giù roba. - «Canta ora, tu l'hai auta!» - e costì se ne tornò a letto. Il prete s'affacciò alla finestra nel sentire questo scoppio; e vidde la sua Gigia, che gliela aveva ammazzata.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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