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      Colle armi, egli scrisse, obbligai il nemico a rifugiarsi nei più remoti recessi per l'estrema difesa; colà, mediante il fuoco, lo domai e lo vinsi
      . Volendo dar prova di generosità, egli ordinò quindi che il Nibbio, scampato al disastro, fosse soccorso, poi lasciato libero, ma strettamente vigilato.
     
     
      La disperazione e la morte del Nibbio.
     
      Costui poco a poco si riebbe; ma rimase qualche tempo come sbalordito, e solo quando gli fu dato di veder l'indomani le vittime dell'eccidio si rese conto della catastrofe che aveva subita la sua tribù e della perdita crudele da lui sofferta nella persona di Ero. Dopo un breve periodo di muta disperazione egli proruppe in lamenti e in lacrime. "Non vedrò più, esclamò, il tuo sorriso incantevole, il fulgore dei tuoi occhi, non potrò più udire la tua voce armoniosa! Si è spenta per me la luce dell'anima!"
      Perchè, mia diletta, volesti morire? A me solo, che non seppi provvedere alla salvezza comune, a me solo spettava il sacrifizio! Ed ora, privo di te, perduti i miei più fidi compagni, a che mi vale questo misero avanzo di vita?
      La memoria di colei che aveva manifestato sì fervida simpatia per la nuova fede propagatasi dall'estremo oriente, la speranza di ritrovarla in un mondo migliore indussero forse il guerriero a sollecitare il battesimo.
      Al Nibbio, il quale dopo l'eccidio della Pollera era stato tenuto d'occhio, o meglio sottoposto a rigorosa sorveglianza da parte della autorità romana, fu un giorno impartita l'intimazione di trasferirsi presso la sede del comando supremo, ove Fulvio intendeva trattenerlo a segreto colloquio.


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Fra le nebbie del passato
Cacce battaglie e amori degli antichi liguri
di Arturo Issel
Nicola Zanichelli Editore Bologna
1920 pagine 69

   





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