Nulla di sinistro, d'impressionante, nemmeno quando un corteo funebre traversa le vie di Naim, poichè il Maestro divino lo cambia in una processione di letizia osannante; nemmeno quando un sepolcro s'apre e n'esce un uomo - Lazzaro - deposto colà da tre giorni, poichè la morte non fu che riposo. La bianca figura del Cristo, con la sua irradiazione di luce vince ogni tenebra.
Nella predicazione di Gesù ricorre sovente la promessa e il miraggio d'una vita oltre la vita, d'un regno Celeste di beatitudine, di giustizia e di pace a cui solo si può giungere attraverso la sofferenza, l'amore, la purità, la virtù; ma della morte come catastrofe o come termine dell'esistenza, Gesù non parla, quasi si trattasse soltanto di uno stato transitorio, di un sonno un po' più lungo e un po' più triste a cui il cristiano debba prepararsi guardando più lontano, nella chiarità di un'alba divina.
Ai Saducei che negavano la risurrezione diceva: «Non è il Dio dei morti, ma dei vivi» (Matteo XXII, 32).
Dell'ora del trapasso, Gesù parla con gravità dolce e tranquilla, come d'un appello, d'una diana che squillerà all'improvviso, esortando gli uomini a tenersi pronti con tranquillità di coscienza ed anima volta alle idealità superne. «Quanto poi a quel giorno e all'ora, nessuno lo sa: nemmeno gli angeli del cielo, ma il solo Padre» (Matteo XXIV 36) ed anche: «Vegliate dunque, perchè non sapete a che ora venga il Signor vostro.... Siate preparati, perchè in qual ora non pensate, verrà» (id. id).
Quanta previdenza soave nel ripetersi di questo ammonimento.
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