Oh il cuore di quella madre al vedere lo Sconosciuto stendere la mano verso la spoglia adorata, nell'udire la voce grave e dolce comandare al giovanetto di levarsi dal funebre letto, di vivere!
Oh l'emozione formidabile di vederlo obbediente all'appello, svegliarsi e spendere dagli occhi le ombre di morte per fissarli estasiati in volto al suo Signore...
«Ed Egli lo rese a sua madre».
La semplicità sublime dell'atto è ben resa dalla semplicità della parola, evangelica. Così il divino Maestro compiva gli atti più maravigliosi: mentre noi, alla minima buona azione, ci affanniamo a divulgarne la notizia, a provocare l'ammirazione e ci sentiamo offesi se ci sembra che il nostro operare non venga valutato e lodato come meriterebbe...
Anche Lazzaro, ch'era a Gesù pur carissimo, rese all'affetto delle sorelle in un richiamo, considerando ancora la morte come un sonno placido e profondo. Ma sempre vuole la fede - la fede cieca, assoluta, viva, ardente, per operare il miracolo. «Io sono la resurrezione e la vita - afferma alle sorelle lagrimanti sulla tomba - chi crede in me, sebbene sia morto, vivrà». (Giovanni XI, 17-32).
«E ogni vivente e credente in me, non morrà in eterno» (id. id.).
Consolanti parole queste del Cristo: parole piene di balsamo rianimatore da ripetersi all'infinito in questi giorni in cui la pietà e il dolore ci riconducono nella città della morte, tra le lampade e i fiori votivi.
Parole di fede incrollabile, vincente la stessa lugubre realtà, vincente lo strazio delle memorie che accarezza con l'ala della preghiera saliente a Dio, e calma e trasforma e compone in una trascendentale visione.
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